Ho letto nelle settimane scorse un bel libro di Abraham Yehosua, "Fuoco amico".
Racconta della vita di una famiglia il cui recente passato è segnato dalla folle morte di un ragazzo, militare israeliano ucciso per errore dal fuoco di un commilitone. Ho trovato interessante, ed in linea di massima condivisibile, l'idea che il principale problema dello Stato di Israele, e di conseguenza il principale problema del Medio Oriente, siano una cultura ed una religione costruite attorno alla percezione di sé come di un popolo diverso dagli altri, diverso in quanto "eletto" ma anche diverso in quanto sempre contrapposto agli altri, attento a non mescolarvisi, ad arroccarsi sulle proprie posizioni con ben poca disposizione al compromesso con chi non vi appartiene.
La stupidità di una posizione del genere - il gusto quasi masochista di essere popolo prescelto da dio e da dio vessato, con l'intento di mantenerlo "sulla retta via" - emerge dai discorsi e dai ragionamenti del padre del ragazzo ucciso, il quale padre tenta di staccarsi completamente da tutto ciò che in qualche modo si può ricollegare ad Israele: lingua, giornali, notizie... ed ovviamente religione.
Un libro che vale la pena di leggere, che si può intendere come una possibile chiave di lettura della situazione di guerra continua che opprime il Medio Oriente, ma che in fondo è anche una "parabola" che contrappone la vita di una società basata sul seguire per abitudine un calendario scandito dalle feste religiose ad una lucida e razionale analisi su come una particolare religione, ed in fondo un po' tutte quelle che propongono una distinzione tra "noi" e "gli altri", tra "buoni" e "cattivi", siano spesso motivo di divisione e tensione tra le persone, ed ostacolo ad una pacifica e proficua convivenza tra i popoli.
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