venerdì 6 ottobre 2023

La festa dei nonni


Non si parlava di "Festa dei nonni", quando ero ragazzino. L'hanno inventata dopo, forse, o forse semplicemente non aveva ancora preso piede.

Ora c'è la festa ma, nel mio caso, mancano ormai i nonni. Mi sentivo fortunato, alla fine delle medie, perché ne avevo ancora quattro - cosa non frequentissima al tempo tra i miei coetanei. Poi nel giro di quattro anni scarsi ne ho persi tre e solo la mia nonna paterna, che se n'è andata tre anni fa alla tenera età di novantacinque anni, mi ha visto - tanto per dire - diplomato, laureato, sposato, con figli.

Mi è capitato spesso di pensare a che cosa gli altri nonnni avrebbero detto di me, delle mie scelte, della mia famiglia, in generale dell'adulto che sono diventato - e del quale, forse, hanno intravisto qualcosa, nel bambino che hanno conosciuto.

Non sono incline a pensare in termini di un qualche "aldilà": per quanto mi riguarda l'unica eternità sta nel ricordo che si lascia. Eppure a volte penso che, per fare ancora due chiacchiere con i miei nonni, non sarebbe poi male scoprire che mi sbaglio...

giovedì 8 giugno 2023

Buon viaggio...

Eccoci qua, alla fine: un ultimo tratto da percorrere insieme e le strade che si dividono. Un sacco di ricordi da portare via - e forse davvero non c'è posto per tenere insieme tutte le puntate di una storia...

Otto anni fa, quando sono arrivato, non avevo alcuna idea di tutto quello che avrei imparato e del gran numero di persone con le quali avrei creato un qualche legame cambiando lavoro. Ora non posso che sentirmi fortunato per tutto questo: il viaggio è stato lungo, pieno di dettagli emozionanti che hanno contribuito a farmi diventare la persona che sono ora e della quale, quando è iniziato, sapevo ancora pochissimo.

E davvero l'incanto è stato godersi un po' la strada percorsa insieme: non sempre facile, ma quasi sempre esattamente dove e con chi si sarebbe voluti essere -  e questo non è poco.

È difficile pensare ai prossimi otto anni senza la presenza quotidiana delle persone che mi hanno accompagnato negli ultimi otto: confido che sarò capace di camminare anche senza di loro senza perdere il desiderio e la voglia, di tanto in tanto, di un saluto, due chiacchiere, un abbraccio, una risata insieme.

È stato bello viaggiare con voi: è stato un divertimento, un piacere; è stato, di tanto in tanto, motivo di emozione e di orgoglio. Probabilmente direi che è stato un onore, se solo questo termine non mi facesse pensare, quasi automaticamente, a treni che arrivano in orario.

E dunque buon viaggio a tutti: non so dove  porterete le vostre strade né dove io porterò la mia, ma troveremo, ne sono sicuro, il modo - di tanto in tanto - di farle incrociare.

giovedì 18 maggio 2023

Ringraziamenti (analitici)

Se mai scriverò un libro - o, volendo essere ottimisti: quando ne scriverò uno - la parte migliore saranno probabilmente i ringraziamenti; d'altra parte sono uno di quei lettori che legge sempre e quasi sempre apprezza quelli che gli capitano tra le mani e non ho nessuna difficoltà ad ammettere che, della mia tesi di laurea, sono stati l'unica parte che ho davvero sentito mia e che, più di vent'anni dopo, rileggerei.

Otto anni di trascorsi comportano però la necessità - o, se non altro, il desiderio, il che tutto sommato non fa grande differenza - di ringraziare molte persone per molti motivi - e dunque il rischio che questo post, nella mia nota e talora frustrante tendenza all'analisi, non finisca mai: in ogni caso immagino che lo scopriremo.

Grazie dunque a chi in questi anni ha sopportato le mie battute un po' idiote, la mia inclinazione a monopolizzare la tastiera anche quando si lavora in coppia, la mia generale tendenza ad essere un vicino di banco disordinato e chiacchierone: dubito che per questo vi spetti da qualche parte un qualche paradiso, ma la mia gratitudine eterna... quella di certo.

Grazie a chi non mi ha mai fatto sentire quello nuovo, nemmeno il primo giorno, né solo, e magari nemmeno lavoravamo insieme. A chi mi ha dato fiducia da subito, e non era ovvio; a chi ha chiesto la mia e generalmente è stata una fiducia ben riposta.

Grazie a tutti delle risate, in pausa o durante il lavoro o la sera davanti ad una birra - ok, ad un succo di frutta: è stato bello lavorare con voi, lavorare in questo modo.

Grazie di tutte le conversazioni tecniche, quasi sempre interessanti e coinvolgenti, grazie delle opinioni diverse dalle mie, delle discussioni e di tutte le occasioni di confronto: nessun uomo è un'isola, in fondo... o forse sì, ma come arcipelago non siete stati niente male.

E grazie, ovviamente, del fatto che, questa volta, non avrò aneddoti da raccontare su un ex collega serial-killer o su un collega che non mi stupirei di vedere a Chi l'ha visto?: sembra scontato ma, come sapete dai miei racconti, non lo è poi sempre.

A chi avevo incrociato in un'altra vita lavorativa, tanti tanti anni fa, e benché ci punzecchiamo a vicenda di continuo per motivi calcistici è diventato un buon amico. A chi mi ha detto che dovrei scrivere di più e con ogni probabilità se ne sta pentendo. A chi, stupendomi un po' ma riempiendomi di soddisfazione, mi ha detto "non scrivo bene come te": spero solo che, a questo punto, non abbia cambiato idea. A chi rientrerà dalle ferie il giorno in cui saluterò tutti e punta, penso, a farmi commuovere, cosa per altro non particolarmente difficile. A chi ha vissuto insieme a me qualche momento di stress, superato insieme con un sorriso, ed a chi nei suoi ha usato il mio punto di vista esterno e la mia apparente tranquillità come una camomilla. A chi negli ultimi mesi ha passato ore a fare pair con me, tra figlie, gatti, pranzi ad orari strani ed una comune tendenza alla chiacchiera che penso abbia reso le cose facili ad entrambi ma ora le rende un po' più difficili, spero ad entrambi ma a me di certo.

Grazie per tutte le conversazioni inaspettate, a volte serie ed a volte spensierate, non sempre profonde ma quasi mai superficiali - al caffé, in spiaggia, sulla porta o nel cortile dell'ufficio, alla lavagna, con un libro in mano, in coda al bagno, in auto, per strada, commentando un fatto di cronaca o un'idea, facendo filosofia spicciola (tutti tranne uno, che rimane un filosofo professionista anche se ottimanente travestito da dev): ho parlato tanto ma, ve lo assicuro, vi ho anche ascoltati... mi avete dato tantissimo e ciò che mi avete raccontato è in qualche modo parte di me.

Grazie a chi, salutandomi dopo l'ultimo incontro che ha coinvolto tutti, mi ha detto qualcosa che suonava un po' come "e perché mai non ci dovremmo rivedere?": grazie di cuore, perché era una cosa che non mi aspettavo ed avevo un gran bisogno di sentirmi dire.

E, ultima ma non certo in ordine di importanza, grazie a Madda, per la foto di Totti sul suo desktop il mio primo giorno di lavoro, per il "tormento" annuale dei maglioni natalizi, per le query della morte ed ovviamente per tutto il cibo che ha portato in ufficio in questi anni... e, al di là degli scherzi, per tutte le osservazioni, i commenti, i consigli garbati e le idee mai banali che quasi quotidianamente ci siamo scambiati in tutto questo tempo in cui è stato bello essere colleghi e facilissimo diventare amici... e perché mi eviterà di essere l'unico con gli occhi umidi al momento dei saluti...

Grazie a tutti, davvero: e alla prossima volta.

mercoledì 17 maggio 2023

Otto anni in quattro giorni

Ok, non me l'avete resa facile - proprio per niente.

Quattro giorni di company meeting al mare, quattro giorni a parlare, ridere, mangiare troppo, cucinare pasta fresca, dormire poco, sperimentare idee, discutere, camminare in spiaggia alle sette del mattino... quattro giorni non voglio dire come una famiglia, ma come una compagnia di amici sì - un mese prima del mio ultimo giorno...

No, non me l'avete resa facile - e va bene così e ve ne sono grato: non mi sarei aspettato niente di meno.

Così quel che mi porterò via, quel che di queste strane giornate mi porterò dentro è la sensazione, struggente, che mi mancherete tantissimo - quelli con cui lavoro da otto anni e quelli che ho appena iniziato a conoscere, chi ha più o meno la mia età e chi è più vicino a quella delle mie figlie.

E - maledizione! - quelle che verranno saranno le settimane lavorative emotivamente più difficili della mia vita: un lungo addio a tante persone cui ho voluto bene ma, per me che tendo a definirmi senso-di-appartenenza-leso, anche un lungo addio ad un ambiente del quale ho finito per sentirmi parte senza grande fatica.

È una sensazione strana, quella che provo: la razionalità, cui mi piace mostrarmi più devoto di quanto probabilmente in realtà io non sia, mi dice che la nuova esperienza non sarà meno bella di questa, non sarà meno piena né meno ricca di persone che diventeranno importanti nella mia vita; ma il cuore ha ragioni che la ragione non conosce, come diceva Blaise Pascal quando, nel tempo libero, scriveva sui Baci Perugina, ed anche senza voler tirare in ballo Ungaretti il mio cuore, al momento, è un paese piuttosto straziato - e va bene così: che senso avrebbero avuto gli ultimi otto anni se, in questo momento, mi sentissi diversamente?

Così, immerso in questo strano dolore che Baricco descriverebbe come morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai e che io, nel mio piccolo, avrei definito partecipare ad una splendida festa sapendo che non si parteciperà alla prossima, non posso che fare la lista delle cose belle delle quali sentirò la mancanza ma che, pian piano, diventeranno racconti ed immagini felici di quello che, sin qui, è stato senza dubbio - e per distacco - il periodo lavorativo più bello della mia vita: la musica agli standup meeting, per me che di musica ascolto due cose in croce e tendo a non amare le scelte altrui; i kata del venerdì pomeriggio, tutte le volte che abbiamo trovato il tempo: scusate se è sempre stato piuttosto difficile farmi mollare la tastiera; le ore dedicate a fare formazione a chi su alcuni temi ne sapeva meno di me ma ha finito per insegnarmi moltissimo; il codice letto e scritto, insieme o da soli, su mille progetti ciascuno dei quali mi ha lasciato qualcosa; le pause caffé a parlare di niente; i gatti di Ale B, sempre sotto i riflettori a differenza della mia; le partite a freccette, nell'ufficio vecchio, quando ancora eravamo in pochi; una demo ufficiale con clamoroso imprevisto, una mattina di dicembre di tanti anni fa, nei minuti di maggior pressione della vita lavorativa mia e di Umberto; un po' di matematica alla lavagna, quando è capitato (e se non capitava ok, l'ho fatto capitare); i clienti strani, quelli che ci hanno regalato infiniti aneddoti da raccontare, quelli che ci hanno irritato e dato fastidio ma poi un sorriso insieme l'abbiamo sempre ritrovato; la persona cui più di tutte mi sono legato, che mi ha detto che non metabolizzerà mai il fatto che non saremo più colleghi ma lo sapevo già da me perché per me vale la stessa cosa: grazie di cuore, anche se insieme non abbiamo lavorato poi tanto, ma è stato bello; e tutti gli incontri inaspettati, i problemi risolti insieme, il tormentone sui treni in orario, una classe VB.net da diciassettemila righe il primo giorno di lavoro, con Alberto e Stefano che se ne sono andati ben prima di me; le battute idiote e le freddure indesiderate per le quali comunque qualcuno che rideva l'ho trovato sempre...

La lista potrebbe continuare - e continuerà, in ossequio a quella diarrea verbale di cui parlava Elias Canetti a proposito del suo rapporto con la scrittura, ma continuerà altrove: qui vorrei tornare su quattro belle giornate che sono state, per me, lo specchio di questi otto anni e di conseguenza un flusso di emozioni a momenti dolorosamente intense.

Non l'avevo previsto ma la cosa, dopo la smarrimento iniziale, mi è sembrata bella: difficile, strana, a tratti sgradevole e sempre piuttosto estenuante - ma bella, ed in qualche modo viva. E mi ha ricordato un brano letto un secolo fa e poi riletto mille volte: c'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame. L'ho riletto - il tema è piuttosto diverso da quello di questo post - e ci ho ritrovato (non ricordavo fosse qui, pur avendola citata mille volte, con ogni probabilità spesso a sproposito) un'altra frase che mi è stata cara e che mi riporta al mio rapporto con la scrittura: Lui dice che scrivere a qualcuno è l'unico modo di aspettarlo senza farsi del male.

E quindi eccomi qui, a scrivere in pochi giorni più di quanto abbia fatto negli ultimi anni, riscoprendo come una tastiera possa servire per qualcosa di diverso da pur interessanti righe di codice, infilato con tutti i capelli in un flusso di lettura-scrittura-musica-bicicletta-riscrittura-rilettura che ha molto di quando ero un ragazzino ma la consapevolezza un po' rassegnata e talvolta pragmatica dell'adulto che, nonostante i miei sforzi, sono diventato - forse sarebbe stato sufficiente scrivere eccomi qui, a sentirmi ancora una volta vivo con una penna (si fa per dire) in mano, ma si sa che il giorno in cui insegnavano la sintesi io ho marinato la scuola - e la battuta su olio e limone per questa volta ve la risparmio, o forse no, ché poi questo umorismo molesto e inopportuno un po' vi mancherà...


domenica 14 maggio 2023

Otto anni dopo


Comincio dalla fine: tra quattro settimane cambierò lavoro. Chi lo deve sapere già lo sa, agli altri probabilmente non interesserà più di tanto - sempre che qualcuno legga ciò che scrivo.

Ma, come tante altre volte, come sempre forse, si scrive più per se stessi che perché qualcuno legga: si scrive come forma grezza di auto-analisi, come modo per trasferire le proprie emozioni in parole e poterle rileggere, un minuto o mezza vita più tardi, ritrovandovi e rielaborando qualcosa di ciò che si è - o che si è stati.

L'ultima volta che ho scritto qualcosa su questo tema era la primavera del 2015 - circa otto anni fa. Sembra passata una vita e probabilmente è così: le mie figlie piccine hanno iniziato a diventare grandi, il mio vissuto si è colorato di nuove esperienze, nuove persone fanno parte del mio mondo e qualcuna, anche importante, se n'è andata, pur rimanendo dentro di me.

Ci sono più rughe, più capelli grigi - ed una certa dose di incapacità a rassegnarmi all'idea di non essere più il ragazzino che, dal mio punto di vista, sembra non essersene mai andato ed avere ancora, in qualche modo, il desiderio e la voglia di sognare e provare cose nuove.

Scrivo meno, probabilmente scrivo peggio, scrivo bene o male solo quando penso di avere qualcosa di interessante da dire (non è questo il caso - non è quasi mai il caso, se escludiamo contenuti tecnici) o quando, per qualche motivo, la mia componente emotiva è sotto pressione e quella razionale non trova altri modi per darle sfogo: oggi il caso è senza dubbio questo.

Tra quattro settimane avrò salutato tutti un'ultima volta e solo dieci giorni fa non immaginavo quanto sarebbe stato... emotivamente intenso ed impegnativo... scrivere - anche solo pensare - una cosa del genere. Mai come in passato ho la sensazione, per rubare le parole ad una canzone di Francesco Guccini che fa da colonna sonora a queste mie giornate strane, di non saper dire se nasce un periodo o finisce, se dal cielo ora piove o non piove...

(Dal cielo in questo momento per la cronaca piove, a dire il vero: piuttosto forte, anche)

Non conosco altro modo di gestire un'emozione che provare a tradurla in parole: sono stato un ragazzino grafomane, chiedere a chi per anni ha ricevuto lettere di decine di pagine (quando ancora si usava la carta!), sono diventato un adulto grafomane che fa più traffico di rete con WhatsApp e Telegram di quanto non ne faccia con YouTube. E l'emozione di questi giorni, di queste settimane, è e certo sarà un'emozione enorme - che sia perché invecchiando i cambiamenti si fanno sentire più nel profondo, perché questi otto anni hanno fatto di me una persona diversa o perché, più probabilmente, hanno fatto parte della mia vita - chi per tutto il tempo, chi per poche settimane o mesi - tante persone alle quali mi sono affezionato... be', non so dire: ma conta poi davvero qualcosa?

Così... proverò a scriverne, di tanto in tanto, da qui al 9 giugno. Come forma di commiato, come forma di dovuto ringraziamento... ma anche un po' come forma di auspicio per il futuro: l'auspicio di essere ancora una volta abbastanza fortunato, ed in parte forse anche bravo, da costruire legami, più profondi con alcuni ed inevitabilmente più superficiali con altri, ma degni, tutti, di essere raccontati e di far soffrire un po' (molto) all'idea di lasciarli andare...

domenica 26 febbraio 2023

Tranquillo

Recente l'esternazione del Presidente del Senato Ignazio LaRussa: "se mio figlio mi dicesse di essere gay", dice La Russa, "per me sarebbe un dispiacere, come se fosse milanista".

Interessante l'accostamento tra due ambiti cosi distanti tra loro, l'orientamento sessuale di una persona ed il tifo calcistico; in termini di comunicazione però la tecnica mi pare chiara: strizzare l'occhio all'omofobia di chi la pensa come lui (stiamo pur sempre parlando di una persona fiera di tenere in casa un busto di mussolini (la minuscola è una scelta, non un refuso): difficile avere dubbi) e poi subito buttarla in caciara con il paragone calcistico - per annacquare il tutto e rispondere preventivamente alla prevedibile ondate di critiche.

Scelta suppongo ahimé efficace, benché certo non da "padre dell'anno" - e penso che Igna' possa di conseguenza stare tranquillo: se mai uno dei suoi figli fosse gay, si guarderebbe bene dall'andarglielo a dire...

lunedì 11 aprile 2022

Piccolo frasario triste

C'è qualcosa di eroico, a ben vedere, nel lavorare in ambito IT e nell'amare la lingua italiana. Di eroico e di frustrante: ché poi gli eroi, oltre che giovani e belli, sono sempre anche un po' frustrati.

L'eroismo - e la frustrazione - riguardano nel caso specifico l'uso sconsiderato del vocabolario, e ancora di più di svariati traballanti costrutti, che caratterizza le quotidiane conversazioni un po' nerd di chi fa il mio mestiere.

Breve lista di orrori ricorrenti: un piccolo frasario triste, appunto - piccolo come il rispetto per la propria lingua che tanti dimostrano, triste come l'effetto che fa.

  • notificare qualcuno di qualcosa, in luogo del corretto notificare qualcosa a qualcuno; favoloso nella forma passiva, essere notificati di.
  • condividere qualcosa a qualcuno, anziché con qualcuno: vi condivido questo dubbio, questo report, queste informazioni. Agghiacciante.
  • il verbo impattare utilizzato transitivamente, con il significato della forma intransitiva (avere impatto su) e non di quella transitiva (portare in parità: impattare una partita). Dà il suo meglio nella forma passiva: determinare chi/cosa è impattato da una modifica/un errore/...
Da registrare, rispetto a tempi meno recenti, il confortante calo di popolarità del riflessivo fasarsi nel senso di allinearsi, accordarsi. Sempre più in voga, invece, ma non solo nel mio ambito professionale, l'abuso di piuttosto che con (scorretto) significato disgiuntivo, anziché con quello (corretto) avversativo/comparativo.

Seguiranno ahimé aggiornamenti.

venerdì 25 dicembre 2020

Manifesto social

Viviamo nell'era dei social, questo è poco ma sicuro.

C'è chi vi passa ore ogni giorno, quasi fossero in effetti una sorta di luogo fisico, chi soffre per un like mancato o per un commento di troppo, chi non cucina niente senza documentare la cosa con foto, video e storie (per me storie saranno sempre quelle che mi raccontavano i miei nonni da bambino, così come cartella sarà sempre quella che usavo a scuola, anche venticinque anni dopo il lancio di Windows - ma questo è un problema mio), chi fa le pulci a ciò che scrivono gli altri (un po' per abitudine, e forse un po' anche per dispetto, direbbe Vasco; SocialPolizei, direbbe Brecht) e chi, talvolta forse con la coda di paglia, afferma categorico che i social non gli interessano perché sono pericolosi e comunque non c'è scritto niente di vero.

C'è persino chi, contro ogni buon senso, ha trovato il modo di farli diventare un lavoro - e non penso ad eccelenze come Chiara Ferragni, Donald Trump, Salvini o i Cinquestelle: penso a chi di mestiere cura i social di qualcun altro, osserva e spulcia quelli della concorrenza, imposta e progetta post quasi fossero una cosa seria, li riempie di parole col ritmo giusto e con la frequenza giusta, al più sbagliando qualche virgola; nei casi migliori capita che il risultato contenga persino validi contenuti.

Mi sono sempre fatto l'idea che, limitandosi all'uso personale, esistano fondamentalmente due modi diversi di utilizzare diciamo il Facebook di turno: farsi i cazzi degli altri e costringere gli altri a farsi i cazzi nostri, li avrebbe definiti Freud - uno che, quanto a farsi i cazzi degli altri, non aveva nulla da invidiare a Google. La mia modalità preferità è decisamente la seconda - il che è ovvio, probabilmente, sopra una certa soglia di egocentrismo e più o meno opportuna autostima. Non per niente preferisco il contenitore blog al contenitore Facebook/Twitter/...: tutto lo spazio che voglio nel formato che voglio, come una sorta di parete su cui buttare parole che nessuno leggerà.

D'altro canto è innegabile quanto sia affascinante l'idea di costruire una rete di contatti, più o meno reali, con altre persone più o meno note; seguirne i contenuti avendo la possibilità quasi divina di esprimere un giudizio su ciascuno di essi: giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male, avrebbe forse chiosato il mai sufficientemente compianto De André.

A me piace, senza dubbio mi piace molto!, l'idea di poter ricostruire contatti con persone che non vedo da decenni; l'idea di poter condividere ciò che penso su un qualche argomento, si tratti di qualcosa che ha a che fare con argomenti tecnici relativi al mio ambito lavorativo, dei miei dubbi prima dell'ennesima tornata elettorale o dell'emozione di passare una notte insonne con una bimba di pochi mesi tra le braccia. Egualmente, mi piace l'idea di poter dire a qualcuno "mi piace ciò che hai scritto, sono d'accordo con te" - e di farlo con un click. Mi piace assai meno l'idea di poter dire a qualcuno "hai scritto una cazzata" - ed infatti ho imparato a non farlo, per il bene del mio fegato e per rispetto del mio tempo, se non in casi molto rari.

Da persona molto più votata all'analisi che alla sintesi, ma con una innata passione per l'idea un po' ingenua che il nostro comportamento ed il nostro pensare il mondo possano ricondursi ad un piccolo numero di principi generali (ad un'etica?, si sarebbe forse chiesto Kant), se non altro una volta circoscritto uno specifico ambito della Conoscenza e della Realtà (che definirei, parafrasando Bohr, non tanto ciò che la Natura è, quanto piuttosto ciò che della Natura si può dire), da persona eccetera eccetera, dicevo, mi sono chiesto se esista una qualche "lista della spesa" di "regole" che controllano, o  quantomeno vorrei controllassero, il mio agire social, a proposito di ciò che sono disposto a condividere (ed in quale contesto sono disposto a farlo) ed a proposito degli altrui contenuti che sono disposto a sottoscrivere coram populo. La buona notizia è che ne esistono due (due liste, voglio dire); quella cattiva è che (vedere alla sezione costringere gli altri a farsi i cazzi nostri: ciao Freud, questa è per te) ho voglia di condividere con i miei tre lettori questa specie di mio personalissimo manifesto social. Ed eccolo qui:

Regole per "condividere" contenuti altrui:

  • argomento generale di mio interesse
  • tema specifico abbastanza ben approfondito da permettermi di dire che sono d'accordo
  • buona forma italiana, se applicabile
Regole per "pubblicare" contenuti "miei":
  • chiarezza circa il fatto che si tratta di mie opinioni, salvo diverse ed esplicite citazioni o indicazioni
  • chiarezza circa il tono che voglio dare alla cosa: se sto scherzando, se sto facendo del sarcasmo indipendentemente dal tema e dallo specifico contenuto, dev'essere evidente che tono e merito sono due aspetti della cosa che non devono necessariamente andare di pari passo
  • totale libertà nell'esprimere me stesso: se per qualche motivo non posso esserlo fino in fondo, che si tratti di considerazioni filosofiche sulla natura dell'universo o della battuta stupida che non fa ridere nessun altro, tanto vale non scrivere - e va bene lo stesso, non me l'ha certo ordinato il medico
Il che significa fondamentalmente che, per quanto possibile, cerco di pubblicare solo contenuti che il contesto renda completamente ed esplicitamente riferibili a me: tutto il resto è letteratura, avrebbe aggiunto Verlaine.

E - niente. Visto che cosa succede a farsi i cazzi degli altri? ;-)

martedì 8 dicembre 2020

Bilanci e buoni propositi - anzi no

È di moda (nel senso statistico del termine, ma non solo), in questo periodo dell'anno, tracciare bilanci dell'anno passato e stilare liste di buoni propositi cui non dare seguito nell'anno che verrà.

Si tratta di una tendenza che assume le più varie forme, in funzione di chi stila e traccia, del contesto più o meno personale in cui tali attività prendono forma e della pubblicità che alla cosa si vuol dare.

Io stesso, che pure nutro teorica, filosofica avversità nei confronti dell'abitudine in questione, non ne sono a ben vedere completamente scevro: pur essendo incline, generalmente, ad un rispetto quasi ossessivo e fin troppo ostentato delle mie posizioni teoriche, soprattutto quando esse si collocano in controtendenza rispetto al caso più comune, mi trovo infatti talvolta a riflettere, in momenti di particolare, colpevole distrazione, su quante volte mi è successa la cosa X nel periodo Y. È mia convinzione che non vi sia in generale niente di male, ma che sia altresì molto vicino alla mia idea di ridicolo farlo in corrispondenza di particolari valori di Y, quasi mai nemmeno lontanamente correlati con la rilevazione (quante volte mi è successa la cosa X) che si sta facendo.

Di questa serie: km percorsi in bicicletta nell'anno solare (varianti: metri di dislivello, ore in sella); blog post con più visualizzazioni nel secondo semestre dell'anno (varianti: post LinkedIn con più hype (giuro, non sto inventando), hashtag di maggior tendenza), numero di giornate dedicate ad uno specifico aspetto della mia attività lavorativa, numero di parole/espressioni imparate (hype!) o coniate nel corso degli ultimi mesi... e via vaneggiando.

E poi la serie gemella: i (buoni: se non altro quelli pubblicizzati) propositi per il futuro: quante volte punto a fare la cosa X nel periodo Y. Si tratta, spesso, di semplici proiezioni sul futuro dei bilanci del passato, diciamo con un venti/trenta per cento in più tanto per essere ottimisti e (parole imparate: +1) proattivi. In qualche caso la fantasia - che col futuro gioca più facilmente che col passato - si lascia andare e ci proponiamo di imparare lingue, leggere libri, compiere imprese sportive, raggiungere traguardi professionali.

Personalmente, sono dell'idea che sia sempre un buon momento per tracciare una linea, guardarsi alle spalle e chiedersi dove si vuole andare - non serve che sia la fine dell'anno (o di qualche arbitrario periodo Y), come non è certo necessario (trovo anzi sia molto ipocrita pensarlo) che sia Natale per essere tutti più buoni. A volte farebbe bene ricordare come - al di là delle corrispondenze con fenomeni astronomici, che si limitano a dare un ritmo, una periodicità, ma lasciano all'umano arbitrio fissare l'origine del sistema di riferimento - i nostri calendari altro non siano che convenzioni: sarebbe dunque assai più significativo tracciare bilanci e porsi obiettivi relativamente ad intervalli di tempo significativi dal punto di vista della cosa che si sta misurando.

Trovo dunque piuttosto fuori luogo la moda di cui sopra, che tendo a considerare divertente, in piccole dosi; ridicola, in dosi più massicce; decisamente fastidiosa quando sembra essere considerata un must have (altro +1, tanto per non farci mancare niente).

E niente, mi faceva piacere dirlo - e ora scusate, ma devo andare a redigere la lista dei miei video preferiti del 2020 ;-)!



giovedì 19 novembre 2020

Racconto nerd

Sono decisamente un nerd un po' atipico: l'etichetta (per quanto possa valere qualcosa di simile ad un'etichetta: nel mio sistema di pensiero, zero) si adatta bene al lavoro che faccio, a ciò che ho studiato, ad una percentuale non trascurabile di ciò che suscita il mio interesse intellettuale - e, me ne rendo conto, al fatto che io scriva cose tipo "una percentuale non trascurabile di ciò che suscita il mio interesse intellettuale".

Non è tuttavia un'etichetta che io utilizzerei per definirmi - nemmeno al netto della mia tendenza a non assegnare con eccessiva facilità etichette a persone, pensieri, cose, se non accompagnandole con una lunga dissertazione (invero forse un po' nerd) su come tali etichette vadano prese, nel migliore dei casi, come una provocazione.

È però evidente che ad alcune persone piace incasellare gli altri: c'è chi affibbia etichette, chi assegna colori (bianco o nero ma mai bianconero, giallo o rosso ma non giallorosso), chi divide il prossimo sulla base delle "case" di Harry Potter (serpe verde o tasso rosso?), chi si riferisce a specifiche categorie umane sulla base dei personaggi di romanzi famosi o di serie tv (Emma Bovary o Sheldon Cooper?). Personalmente trovo che, qualunque sia il criterio di classificazione, si tratti sempre di una semplificazione rispetto all'infinita gamma di umanità, arcobaleno di sfaccettature e singolarità. Spesso ho la sensazione che, più che di semplificare, si tratti solo di essere superficiali.

Dato però che esserlo non costa nulla, provo a stare al gioco, arrivando alla fatidica domanda: che tipo di nerd sono? Rispondo (per contrappasso) con una (breve?) lista (in ordine sparso) di caratteristiche per le quali mi allontano dallo stereotipo del nerd - o, se non altro, dalla versione che ho in mente io in questo momento, che è l'unica che in fondo mi interessa e certo l'unica di una qualche importanza in un post in cui si parla di superficialità e si prova a giocare con essa.

  • non mi piace la birra (ok, la lista potrebbe finire qui)
  • non mi piace la birra!!! (proprio per niente)
  • non mi piace particolarmente il caffé e comunque non bevo, salvo rarissime eccezioni (diciamo una o o due volte all'anno e solo per cortesia nei confronti di chi me lo offre), caffé non decaffeinato
  • mi piace (mi è sempre piaciuto molto) praticare sport
  • non sono un particolare fan de Il Signore degli Anelli (One ring to rule them all, eccetera eccetera eccetera... Yawn...)
  • non sono particolarmente interessato alla saga di Star Wars
  • non ho particolari problemi a fare amicizia, conoscere persone, stare in compagnia
  • non ho particolari difficoltà (intendo: non vivo la cosa come una forma di emarginazione) a stare da solo, tanto che lo sport che preferisco è uno sport che si pratica, generalmente, in solitudine e tanto che stare in lockdown, bene o male, non mi è pesato poi troppo
  • non mi piace (forse l'ho già detto) la birra

Il solo superpotere nerd che effettivamente accompagna le mie giornate è la tendenza ad essere un tantinello sarcastico - chissà se è sufficiente per meritare l'etichetta - chissà se sono del colore giusto - maledetto grifondoro!

E voi, che tipo di nerd siete? Il birraiolo, Luke Skywalker, Frodo Baggins? Siete rossi o gialli? Serpeverde o caffeinomani? ;-)