mercoledì 17 maggio 2023

Otto anni in quattro giorni

Ok, non me l'avete resa facile - proprio per niente.

Quattro giorni di company meeting al mare, quattro giorni a parlare, ridere, mangiare troppo, cucinare pasta fresca, dormire poco, sperimentare idee, discutere, camminare in spiaggia alle sette del mattino... quattro giorni non voglio dire come una famiglia, ma come una compagnia di amici sì - un mese prima del mio ultimo giorno...

No, non me l'avete resa facile - e va bene così e ve ne sono grato: non mi sarei aspettato niente di meno.

Così quel che mi porterò via, quel che di queste strane giornate mi porterò dentro è la sensazione, struggente, che mi mancherete tantissimo - quelli con cui lavoro da otto anni e quelli che ho appena iniziato a conoscere, chi ha più o meno la mia età e chi è più vicino a quella delle mie figlie.

E - maledizione! - quelle che verranno saranno le settimane lavorative emotivamente più difficili della mia vita: un lungo addio a tante persone cui ho voluto bene ma, per me che tendo a definirmi senso-di-appartenenza-leso, anche un lungo addio ad un ambiente del quale ho finito per sentirmi parte senza grande fatica.

È una sensazione strana, quella che provo: la razionalità, cui mi piace mostrarmi più devoto di quanto probabilmente in realtà io non sia, mi dice che la nuova esperienza non sarà meno bella di questa, non sarà meno piena né meno ricca di persone che diventeranno importanti nella mia vita; ma il cuore ha ragioni che la ragione non conosce, come diceva Blaise Pascal quando, nel tempo libero, scriveva sui Baci Perugina, ed anche senza voler tirare in ballo Ungaretti il mio cuore, al momento, è un paese piuttosto straziato - e va bene così: che senso avrebbero avuto gli ultimi otto anni se, in questo momento, mi sentissi diversamente?

Così, immerso in questo strano dolore che Baricco descriverebbe come morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai e che io, nel mio piccolo, avrei definito partecipare ad una splendida festa sapendo che non si parteciperà alla prossima, non posso che fare la lista delle cose belle delle quali sentirò la mancanza ma che, pian piano, diventeranno racconti ed immagini felici di quello che, sin qui, è stato senza dubbio - e per distacco - il periodo lavorativo più bello della mia vita: la musica agli standup meeting, per me che di musica ascolto due cose in croce e tendo a non amare le scelte altrui; i kata del venerdì pomeriggio, tutte le volte che abbiamo trovato il tempo: scusate se è sempre stato piuttosto difficile farmi mollare la tastiera; le ore dedicate a fare formazione a chi su alcuni temi ne sapeva meno di me ma ha finito per insegnarmi moltissimo; il codice letto e scritto, insieme o da soli, su mille progetti ciascuno dei quali mi ha lasciato qualcosa; le pause caffé a parlare di niente; i gatti di Ale B, sempre sotto i riflettori a differenza della mia; le partite a freccette, nell'ufficio vecchio, quando ancora eravamo in pochi; una demo ufficiale con clamoroso imprevisto, una mattina di dicembre di tanti anni fa, nei minuti di maggior pressione della vita lavorativa mia e di Umberto; un po' di matematica alla lavagna, quando è capitato (e se non capitava ok, l'ho fatto capitare); i clienti strani, quelli che ci hanno regalato infiniti aneddoti da raccontare, quelli che ci hanno irritato e dato fastidio ma poi un sorriso insieme l'abbiamo sempre ritrovato; la persona cui più di tutte mi sono legato, che mi ha detto che non metabolizzerà mai il fatto che non saremo più colleghi ma lo sapevo già da me perché per me vale la stessa cosa: grazie di cuore, anche se insieme non abbiamo lavorato poi tanto, ma è stato bello; e tutti gli incontri inaspettati, i problemi risolti insieme, il tormentone sui treni in orario, una classe VB.net da diciassettemila righe il primo giorno di lavoro, con Alberto e Stefano che se ne sono andati ben prima di me; le battute idiote e le freddure indesiderate per le quali comunque qualcuno che rideva l'ho trovato sempre...

La lista potrebbe continuare - e continuerà, in ossequio a quella diarrea verbale di cui parlava Elias Canetti a proposito del suo rapporto con la scrittura, ma continuerà altrove: qui vorrei tornare su quattro belle giornate che sono state, per me, lo specchio di questi otto anni e di conseguenza un flusso di emozioni a momenti dolorosamente intense.

Non l'avevo previsto ma la cosa, dopo la smarrimento iniziale, mi è sembrata bella: difficile, strana, a tratti sgradevole e sempre piuttosto estenuante - ma bella, ed in qualche modo viva. E mi ha ricordato un brano letto un secolo fa e poi riletto mille volte: c'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame. L'ho riletto - il tema è piuttosto diverso da quello di questo post - e ci ho ritrovato (non ricordavo fosse qui, pur avendola citata mille volte, con ogni probabilità spesso a sproposito) un'altra frase che mi è stata cara e che mi riporta al mio rapporto con la scrittura: Lui dice che scrivere a qualcuno è l'unico modo di aspettarlo senza farsi del male.

E quindi eccomi qui, a scrivere in pochi giorni più di quanto abbia fatto negli ultimi anni, riscoprendo come una tastiera possa servire per qualcosa di diverso da pur interessanti righe di codice, infilato con tutti i capelli in un flusso di lettura-scrittura-musica-bicicletta-riscrittura-rilettura che ha molto di quando ero un ragazzino ma la consapevolezza un po' rassegnata e talvolta pragmatica dell'adulto che, nonostante i miei sforzi, sono diventato - forse sarebbe stato sufficiente scrivere eccomi qui, a sentirmi ancora una volta vivo con una penna (si fa per dire) in mano, ma si sa che il giorno in cui insegnavano la sintesi io ho marinato la scuola - e la battuta su olio e limone per questa volta ve la risparmio, o forse no, ché poi questo umorismo molesto e inopportuno un po' vi mancherà...


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