domenica 9 novembre 2008

Venerdì, kebab

Sono andato spesso a mangiare il kebab di venerdì: sia per semplicità nel convincere i colleghi (trattandosi dell'ultimo giorno di lavoro della settimana, pare sia più facile affrontare il pensiero di un pasto presunto più pesante della norma), sia per pacata, silenziosa  e divertita protesta nei confronti della regola cattolica che, nell'intento di controllare persino gli aspetti gastronomici della vita delle persone, impone o quantomeno consiglia di astenersi dalla carne in quel giorno. Lo impone per quanto riguarda la quaresima, e ringrazio Nicola per avermi accompagnato a mangiare kebab in occasione dell'ultimo venerdì santo, e per aver scherzato con me sul fatto che si trattasse persino di un piatto tradizionale arabo.

Parlare di questa abitudine mi ha fatto ripensare, qualche giorno fa, ad una mezza discussione - nel senso che discuteva solo lui, mentre io ero semplicemente divertito dalla situazione, e dalla concitazione con cui si esprimeva il mio interlocutore - tra me ed un compagno di università, iniziata con l'osservazione, da parte sua, che nei mercoledì di quaresima non si dovrebbe mangiare carne: l'infedele che scrive, infatti, aveva in mano un panino al salame. Con calma e tranquillità gli feci notare che, non essendo credente in generale, e non essendo cattolico in particolare, la regola non poteva valere per me. Al che l'astuto personaggio riconobbe che questo era vero, affermando tuttavia che non mi sarebbe costato niente rinunciare alla carne una volta alla settimana. Ricordo di avergli risposto che personalmente non sono un grande amante della carne, che non ne mangio certo tutti i giorni né mi costa particolarmente rinunciarvi, anche per più di un giorno alla settimana. Solo, non vedo perché debba essere lui, o qualcuno con la tonaca, a decidere quando: per cui il venerdì potrebbe essere l'unico giorno in cui ne mangio, e non sarebbero fatti suoi, né di nessun altro. Si allontanò borbottando con l'aria arrabbiata, e da allora ogni venerdì in cui pranzai con lui feci in modo di non rinunciare mai ad una fetta di salame.

Ripensando questa storiella, penso semplicemente ridicola, e comunque vera, sono giunto con un sorriso alla conclusione che, se una qualche divinità esiste, sono convinto - e spero per essa che sia così - abbia di meglio da fare che occuparsi del regime alimentare mio o di chiunque altro. E penso valga la stessa cosa per quanto riguarda la vita sessuale delle persone. Allora perché è normale costume delle organizzazioni religiose quello di accanirsi su queste tematiche ? Immagino che la risposta sia, ancora e sempre, controllo. Delle persone, della felicità e della libertà (che alla felicità è strettamente collegata...) delle persone.

A questa conclusione - e la cosa mi fa piacere - sono arrivate autonomamente un sacco di persone con le quali ho affrontato il discorso. Forse non tutte le speranze sono perdute...

4 commenti:

  1. Nessun "accanimento"... Del significato della rinuncia, in Quaresima in particolare, avevo scritto qui qualche tempo fa.
    Dal punto di vista dell'alimentazione, poi, il cattolicesimo è molto meno "prescrittivo" di altre religioni... Ci sono indicazioni generali, ma ognuno è libero di declinarle in base alla propria disposizione personale: a me, per esempio, la carne non piace e ho trovato sempre più congeniale la "Quaresima senza dolci"... Importanti sono la determinazione e il significato che associ alla rinuncia, che deve essere consapevole e non frutto di apatica adesione a un precetto o semplice abitudine.

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  2. P.S. Ma come fai a "postare" da Trieste??!!

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  3. Penso che chiunque sia libero di rinunciare a quel che gli pare, e che il periodo dell'anno in cui lo fa non sia a questo punto particolarmente importante... come giustamente noti tu, non ha senso pretendere, dai fedeli di una religione e tanto meno da chi non è credente, un'apatica adesione ad un precetto. Questo è decisamente ridicolo, e volerlo imporre è frutto più di un'intenzione - direi un bisogno - di controllo che di qualunque altra motivazione. Diverso è il caso che dici tu, declinare il concetto di rinuncia secondo le proprie inclinazioni personali. E' giusto che chiunque sia libero di farlo - ovviamente ! - , ed è ridicolo pretendere di imporlo ad altri...

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  4. Grazie per la citazione :-)
    Penso di aver capito chi sia il compagno di università (il nome inizia per caso con la lettera "G"?).
    Sono d'accordo con te sulla libertà di rinuncia.
    non mi dilungo: devo andare a stappare un birra per festeggiare la sentenza della Cassazione in merito al caso di Eluana Englaro.
    Spero che il padre di Eluana abbia ragione nell'affermare che la sentenza è una "conferma che viviamo in uno stato di diritto", chechè ne dica la chiesa e la Carfagna.

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