Viviamo nell'era dei social, questo è poco ma sicuro.
C'è chi vi passa ore ogni giorno, quasi fossero in effetti una sorta di luogo fisico, chi soffre per un like mancato o per un commento di troppo, chi non cucina niente senza documentare la cosa con foto, video e storie (per me storie saranno sempre quelle che mi raccontavano i miei nonni da bambino, così come cartella sarà sempre quella che usavo a scuola, anche venticinque anni dopo il lancio di Windows - ma questo è un problema mio), chi fa le pulci a ciò che scrivono gli altri (un po' per abitudine, e forse un po' anche per dispetto, direbbe Vasco; SocialPolizei, direbbe Brecht) e chi, talvolta forse con la coda di paglia, afferma categorico che i social non gli interessano perché sono pericolosi e comunque non c'è scritto niente di vero.
C'è persino chi, contro ogni buon senso, ha trovato il modo di farli diventare un lavoro - e non penso ad eccelenze come Chiara Ferragni, Donald Trump, Salvini o i Cinquestelle: penso a chi di mestiere cura i social di qualcun altro, osserva e spulcia quelli della concorrenza, imposta e progetta post quasi fossero una cosa seria, li riempie di parole col ritmo giusto e con la frequenza giusta, al più sbagliando qualche virgola; nei casi migliori capita che il risultato contenga persino validi contenuti.
Mi sono sempre fatto l'idea che, limitandosi all'uso personale, esistano fondamentalmente due modi diversi di utilizzare diciamo il Facebook di turno: farsi i cazzi degli altri e costringere gli altri a farsi i cazzi nostri, li avrebbe definiti Freud - uno che, quanto a farsi i cazzi degli altri, non aveva nulla da invidiare a Google. La mia modalità preferità è decisamente la seconda - il che è ovvio, probabilmente, sopra una certa soglia di egocentrismo e più o meno opportuna autostima. Non per niente preferisco il contenitore blog al contenitore Facebook/Twitter/...: tutto lo spazio che voglio nel formato che voglio, come una sorta di parete su cui buttare parole che nessuno leggerà.
D'altro canto è innegabile quanto sia affascinante l'idea di costruire una rete di contatti, più o meno reali, con altre persone più o meno note; seguirne i contenuti avendo la possibilità quasi divina di esprimere un giudizio su ciascuno di essi: giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male, avrebbe forse chiosato il mai sufficientemente compianto De André.
A me piace, senza dubbio mi piace molto!, l'idea di poter ricostruire contatti con persone che non vedo da decenni; l'idea di poter condividere ciò che penso su un qualche argomento, si tratti di qualcosa che ha a che fare con argomenti tecnici relativi al mio ambito lavorativo, dei miei dubbi prima dell'ennesima tornata elettorale o dell'emozione di passare una notte insonne con una bimba di pochi mesi tra le braccia. Egualmente, mi piace l'idea di poter dire a qualcuno "mi piace ciò che hai scritto, sono d'accordo con te" - e di farlo con un click. Mi piace assai meno l'idea di poter dire a qualcuno "hai scritto una cazzata" - ed infatti ho imparato a non farlo, per il bene del mio fegato e per rispetto del mio tempo, se non in casi molto rari.
Da persona molto più votata all'analisi che alla sintesi, ma con una innata passione per l'idea un po' ingenua che il nostro comportamento ed il nostro pensare il mondo possano ricondursi ad un piccolo numero di principi generali (ad un'etica?, si sarebbe forse chiesto Kant), se non altro una volta circoscritto uno specifico ambito della Conoscenza e della Realtà (che definirei, parafrasando Bohr, non tanto ciò che la Natura è, quanto piuttosto ciò che della Natura si può dire), da persona eccetera eccetera, dicevo, mi sono chiesto se esista una qualche "lista della spesa" di "regole" che controllano, o quantomeno vorrei controllassero, il mio agire social, a proposito di ciò che sono disposto a condividere (ed in quale contesto sono disposto a farlo) ed a proposito degli altrui contenuti che sono disposto a sottoscrivere coram populo. La buona notizia è che ne esistono due (due liste, voglio dire); quella cattiva è che (vedere alla sezione costringere gli altri a farsi i cazzi nostri: ciao Freud, questa è per te) ho voglia di condividere con i miei tre lettori questa specie di mio personalissimo manifesto social. Ed eccolo qui:
Regole per "condividere" contenuti altrui:
- argomento generale di mio interesse
- tema specifico abbastanza ben approfondito da permettermi di dire che sono d'accordo
- buona forma italiana, se applicabile
Regole per "pubblicare" contenuti "miei":
- chiarezza circa il fatto che si tratta di mie opinioni, salvo diverse ed esplicite citazioni o indicazioni
- chiarezza circa il tono che voglio dare alla cosa: se sto scherzando, se sto facendo del sarcasmo indipendentemente dal tema e dallo specifico contenuto, dev'essere evidente che tono e merito sono due aspetti della cosa che non devono necessariamente andare di pari passo
- totale libertà nell'esprimere me stesso: se per qualche motivo non posso esserlo fino in fondo, che si tratti di considerazioni filosofiche sulla natura dell'universo o della battuta stupida che non fa ridere nessun altro, tanto vale non scrivere - e va bene lo stesso, non me l'ha certo ordinato il medico
Il che significa fondamentalmente che, per quanto possibile, cerco di pubblicare solo contenuti che il contesto renda completamente ed esplicitamente riferibili a me: tutto il resto è letteratura, avrebbe aggiunto Verlaine.
E - niente. Visto che cosa succede a farsi i cazzi degli altri? ;-)