venerdì 27 gennaio 2012

Sfigati (ed un elogio del relativismo)

Parla di sfigati, quel figo della Madonna del viceministro Michele Martone: sfigati gli studenti universitari fuoricorso ventottenni - ma questo mi interessa poco, ché a questo post interessa l'aspetto formale, e non il merito: troppo facile obbiettare che non si può far di ogni erba un fascio, che ci sono i figli di papà senza un cazzo di voglia di studiare così come persone che non hanno la possibilità di fare gli studenti a tempo pieno.

Più o meno ognuno ha le sue categorie (termine orrendo, quasi al livello di naturale: ma questo è un post che verrà) di sfigati, basate su diversi modi di vedere la vita (io stesso tendo a pensare come sfigati tutti coloro che passano la vita in ufficio, dalle sette e mezza di mattina alle otto di sera, e si sentono in dovere di rampognare altri per una pausa pranzo troppo lunga) o, più frequentemente, su classificazioni sommarie e nobili come l'origine geografica,  la fede calcistica, l'appartenenza religiosa. E dunque sfigati i Veronesi ed i Bergamaschi, sfigati i cattolici, sommamente sfigati gli juventini, i tifosi di Ivan Basso - per me bresciano, ateo, interista, simpatizzante di Gilberto Simoni. O ancora: sfigati gli abitanti del quartiere vicino, gli studenti dell'altra scuola media, le saponette del Classico - decisamente fuori classifica, e meritevoli del classico velo pietoso, gli Ingegneri Gestionali: ché a nessuno dovrebbe essere consentito di sparare sulla Croce Rossa.

Ognuno ha le sue categorie di sfigati, perché - scriveva Primo Levi - "ognuno è ebreo di qualcun altro" - e nulla è più da sfigati della diversità.

A me tutto questo ha ricordato un po' Baricco, ed il personaggio di Gould, il ragazzino geniale di City: "La genialità stava nell’aver trovato qualcuno la cui vita era una tragedia non perché era sfigato ma, al contrario, perché era un figo della madonna".

Così, tanto per non dimenticare che l'essere fighi, o sfigati (che tutti sanno cosa significa ma nessuno lo saprebbe definire), è un po' come la bellezza: sta, prima di tutto e sempre, negli occhi di chi guarda.

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