Molto natalizia, davvero, e molto ecumenica, la simpatica denigrazione di atei ed agnostici ad opera di monsignor Gian Luigi Nuvoli, economo dell’Arcidiocesi di Bologna.
Il religioso, che si definisce "italiano qualunque, ma geloso della sua libertà di pensiero, di parole e di scelta" (nota bene: la SUA libertà, non quella degli altri) e precisa di parlare a proprio nome e non a nome di ente od organismo alcuno, si lancia in una favolosa analisi dell'etimologia dei termini che formano l'acronimo UAAR: Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.
Non voglio perder tempo, qui, a contestare l'approccio "apri il vocabolario e scegli, tra i tanti significati di un termine, quello funzionale alla tua tesi" - approccio evidente come evidenti sono i limiti delle conclusioni che con esso si ottengono. Dato che è noto che cosa si intenda per "agnostico", utilizzare un vocabolario per concludere che chi si definisca tale si definisce sostanzialmente un "senza cervello" sarà un modo divertente per tener occupate le dita - dato che altri, più divertenti, a Monsignore sono preclusi - ma è, fondamentalmente, solo questo. Come se io disquisissi sul fatto che l'etimologia del termine "cretino" è la stessa del termine "cristiano", per motivi che un genetista saprebbe spiegare meglio di me, e ne concludessi che definirsi cristiano significhi darsi del cretino.
Mi interessa invece lo strepitoso ragionamento condotto a proposito del termine ateo, ragionamento che in sostanza posso riassumere così: la parola ateo indica negazione di dio, se dunque esiste la parola dio, e la parola che ne indica negazione, significa che dio esiste. Anselmo e la sua prova ontologica dell'esistenza di dio mi avevano fatto un'impressione migliore, ai tempi. L'esempio proposto da Nuvoli è - per dirla con Baricco - da sbiellare, e voglio riprenderlo qui (utilizzerò il mio nome per non offendere nessuno): "Il ragionamento è semplice. Io posso dire che sono a- Martinelli, cioè non credo in Pietro Martinelli, ma dico questo perché so con sicurezza che esiste e so quel che dice. Lo potrei anche incontrare volutamente o involontariamente. Se si applica questo esempio alla parola ateo si avrà lo stesso risultato. So che Dio esiste, so quel che dice, lo incontrerò volontariamente o mal volentieri, sia che lo ami, sia che gli serbi odio e rancore." Chiaro, no? Se mi dico a-teo lo faccio solo perché so con sicurezza che dio esiste. Limpido e cristallino, davvero. Ben lungi dal notare come si tratti di un problema lessicale, e non semantico, Nuvoli conclude così: che fatta gente questi atei! Non sanno neanche che credono in Dio! Quel che interessa a me, al di là della lucidità del ragionamento di Monsignore, è proprio questo limite: il fatto cioè che non esista, o non sia di utilizzo comune, nella mia lingua, un termine che definisca la mia posizione filosofica in modo positivo. Problema sul quale ho riflettuto, in passato, parecchie volte: riflessioni delle quali mi son deciso oggi a scrivere, grazie - hai visto mai? - ai natalizi insulti di Monsignor Nuvoli.
Io mi definisco ateo, ma non vivo in alcun modo tale mia posizione come una posizione negativa: e vorrei un termine che rispecchiasse la positività del mio sentire - per parafrasare: sono ateo perché sono ateo, non perché non credo in dio.
Non mi piace l'idea di definirmi, semplicemente, "normale" - benché in fondo si nasca senza etichetta religiosa e senza i preconcetti da "popolo eletto" tanto cari a certe confessioni religiose, ed il mutare di questa condizione sia in qualche modo un allontanamento dalle "condizioni di partenza". Non mi piace, perché definire qualcosa come "normale" sottintende troppo spesso un giudizio negativo su tutto ciò che normale - secondo la definizione che si sta dando - non è, e non è questo il mio modo di vedere le cose. A differenza di altri, non è mia intenzione far diventare semantico - definire anormali coloro che credono - quello che mi pare essere un problema squisitamente lessicale - dare un nome ad una posizione filosofica. Allo stesso modo e per lo stesso motivo, non mi piace più di tanto l'utilizzo del termine illuminati - benché non si possa nascondere che certe confessioni religiose, in certi periodi della loro storia, abbiano fatto di tutto per dare l'idea dell'oscurità e della propensione al controllo delle masse tramite l'ignoranza. E benché Monsignor Nuvoli sembri volermi spingere in questa direzione.
Forse l'unica definizione che davvero mi soddisfa, a questo punto, è quella di "libero pensatore": sottolinea la libertà rispetto a forme di pensiero legate a dogmi o tradizioni, senza più di tanto dare l'idea di un giudizio negativo, che in ogni caso è assolutamente al di fuori di qualunque mia intenzione, su chi, altrettanto liberamente, di questa libertà non sente di voler godere.
Buon Natale dunque a tutti i credenti, Monsignor Nuvoli in testa, da un senza cervello forse poco illuminato ma certo molto libero, in un 25 dicembre qualunque - come tanti altri.
PS: prendendo per buono, per amor di discussione, il modello di ragionamento secondo cui l'esistenza del vocabolo che lo indica implica l'esistenza di un concetto, è facile notare come esistano i termini che indicano Babbo Natale, il Mostro di Spaghetti Volante o l'odiato - da Santa Madre Chiesa - Harry Potter: personaggi la cui esistenza non penso che Ravasi si sprecherebbe a sostenere, pur essendo frutto dei medesimi meccanismi mentali che conducono al concetto di dio: fantasia e disponibilità a credere.
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