La notizia del giorno è ovviamente quella delle dimissioni - più tecnicamente, dell'abdicazione - di Josef Ratzinger dalla carica di capo della Chiesa di Roma. Non ho mai amato particolarmente il personaggio, si sa, ché rappresenta ideologicamente un po' il contrario di tutto ciò - razionalismo, relativismo - in cui mi riconosco. E tuttavia ne ho sempre apprezzato la franchezza, che me lo fa preferire (ne ho scritto, tra l'altro, anche qui) al suo predecessore, ugualmente di destra, conservatore e chiuso al cambiamento, ma con una pitturata di modernismo viaggiante e mediatico a confondere le idee.
E la notizia di ieri, in qualche modo, conferma questa mia opinione: trovo infatti che in un gesto tanto inusuale - si tratta del primo Papa dimissionario da seicento anni, forse del primo in assoluto che non lasci la cattedra di Pietro a seguito di eventi e trame politiche - ed umano - il desiderio di lasciare quando ancora si è in grado di svolgere il proprio ruolo: senza ridursi, per attaccamento alla poltrona, ad essere un manichino che si trascina per anni senza riuscire a parlare e stando in piedi solo appeso a qualche assistente, come fu per Wojtyla - vi sia più modernità, più apertura al cambiamento che nei quasi trent'anni del pontificato precedente, vissuto tra riflettori, viaggi e piste da sci, certo, ma, mediaticità a parte, vissuto completamente nel solco della tradizione.
Tanto di cappello dunque per il gesto di un uomo anziano e fragile che sa fare di questa fragilità una scelta forte.
Per il resto, rimane un reazionario conservatore - e non ci mancherà per niente.
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