Nel nostro Paese, uno degli sport preferiti di politici, opinionisti, religiosi, ultimamente anche di sedicenti giornalisti come Renato Farina, è quello di pontificare circa il fatto che taluni comportamenti sarebbero contro natura - e dunque meritevoli di censura, di inviti all'astensione, eventualmente persino di essere esplicitamente vietati per via legislativa.
Ora: non voglio commentare più di tanto affermazioni secondo le quali "i gay dovrebbero astenersi dal fare sesso perché è contro natura", ché mi pare lo facciano benissimo da sé.
Mi interessa invece dibattere di quale sia il significato - se significato c'è - della locuzione contro natura: giacché, mi pare, l'utilizzo che se ne fa è spesso fuori luogo, quando non logicamente inconsistente.
Che cosa si intende, dunque per contro natura?
Risposta breve (mutuata da qui): mi stai sulle palle. E' contro natura ciò che non corrisponde al sentire di chi parla, ciò che lo irrita, lo spaventa, lo disorienta. Dunque è contro natura tutto ciò che rappresenta una diversità: e definire contro natura un comportamento altrui è, in ultima analisi, un mero esercizio di xenofobia.
Risposta lunga: da un punto di vista letterale, mi sento di dire che nulla è contro natura: poiché andare contro le leggi della natura è per definizione impossibile (ancora, vedi anche qui) e poiché, per una deriva mentale algebrica che tende a pensare in termini di insiemi chiusi rispetto alle operazioni definite sui loro elementi, non posso accettare l'idea che esseri che della natura fanno parte (gli esseri umani, ad esempio: non vorremo eccepire su questo, no?) possano porre in atto comportamenti, compiere scelte o realizzare opere che dalla natura si allontanino.
Da un punto di vista meno formale, mi rendo conto che il termine "naturale" viene generalmente utilizzato in almeno tre diverse accezioni: una, quella di non artefatto, fa riferimento al fatto che, ad esempio, una pianta di pomodoro sia coltivata come crescerebbe senza intervento umano (il che è di per sé è un controsenso, per definizione di coltivare: ma mi pare sia chiaro il punto); un'altra, quella che possiamo definire di comodo od intuitivo, riguarda il fatto che un artefatto umano sia semplice da utilizzare, ergonomico, e non richieda grande sforzo di apprendimento per essere efficace. La terza, quella che interessa in questo post, è quella che in generale mi disturba: l'idea cioè di una sorta di giudizio morale basato, appunto, su una presunta ipotesi di più o meno grande vicinanza alla Natura. In poche parole: è contro natura, dunque (notare l'ineluttabilità di questa implicazione!) meritevole come minimo di reprimenda, tutto quanto configura un discostarsi, per gli esseri umani, dall'istinto animale O dalla volontà di Dio. Non essendo disponibile una versione ufficiale di quest'ultima, ma solo molteplici sedicenti interpretazioni autentiche della stessa, formalmente viziate dall'interesse dello specifico interprete, non varrebbe probabilmente la pena di analizzare questo aspetto: se non fosse che, nella nostra società, è quello più fortemente sostenuto e sfruttato dai paladini della lotta a ciò che è - sarebbe - contro natura: al punto che spesso si finge di confondere i due aspetti, quasi che il comportamento animale altro non fosse che mirabile esempio di realizzazione della divina volontà, al quale l'uomo deve guardare per conformare a quest'ultima il proprio agire.
Se non che: due donne che girano mano nella mano, due uomini che si baciano, sarebbero contro natura, ma tra gli animali l'omosessualità esiste, mentre sommamente innaturale (nel senso dell'istinto atavico) risulta essere una scelta di castità e celibato, cavalcata e pretesa invece da alcuni tra i più forti "difensori" della naturalità. Le società umane sono in larga maggioranza basate sulla monogamia, che nessuno si sognerebbe di definire innaturale (benché una minoranza non irrilevante di esseri umani pratichi la poligamia), ma tra gli animali la moda (in senso statistico) è rappresentata da società poligame... E questi sono esempi di incoerenza relativa all'utilizzo del mondo animale come sistema di riferimento di presunta naturalità: quando fa comodo, dimenticandosene se si parla - ad esempio - di celibato (né risulta, più in generale, che i leoni costruiscano templi o le libellule conducano guerre di religione).
C'è poi l'altra grande questione, quella che mi piace definire "del confine": ammesso e non concesso che esista una distinzione tra cose / comportamenti / abitudini / posizioni naturali e contro natura, qual è il confine e - soprattutto - chi lo definisce? Chi lo definisca è chiaro: lo definiscono i paladini della lotta a ciò che è contro natura: si tratti di politici o di testi sacri, cambia poco. D'altro canto, se sono disposto ad accettare che esista un confine, posso accettare anche che il suo posizionamento sia arbitrariamente nella disponibilità di qualcun altro. Più problematica è la questione della coerenza logica tra diverse scelte riguardanti comportamenti quotidiani che concernono ambiti potenzialmente di confine: coerenza che in genere viene sacrificata a molto pragmatiche questioni di utilità personale, per cui la tecnologia degli OGM è contro natura ma non lo è quella degli interventi chirurgici, il parto naturale aborrisce l'analgesia ma nel corso della gravidanza si sprecano esami del sangue ed ecografie, secondo il consolidato modello naturale di delfini e scimpanzé; ed ancora, contro natura la fecondazione assistita o l'eutanasia e sommamente naturali l'accanimento terapeutico ed il fornire cibo ad un corpo senza vita - esattamente come nei costumi di piccioni e cervi.
Di tutto questo, alla fine, mi fa sorridere come a dare patenti di naturalità siano, spesso, persone od organizzazioni che relativamente agli argomenti di cui pontificano hanno promosso ed abbracciato posizioni decisamente lontane da qualunque esempio in Natura (basti pensare a come dell'altrui sessualità vogliano disporre, da millenni, organizzazioni che la vietano ai proprio membri - ma in questo caso, a ben vedere, non serve un Nobel in psicologia per dare una spiegazione).
E sono portato a concludere che, alla fin fine, dietro alla locuzione contro natura si celi, spesso in modo piuttosto goffo e ridicolo, l'arbitrio di pensare, di qualcuno o qualcosa, "mi stai sulle palle": legittimo, ovviamente, ma disonesto nel momento in cui tenta di farsi passare non per l'arbitrio che è, bensì per una qualche pretesa legge naturale, o divina, e di imporsi anche su coloro che, altrettanto arbitrariamente, la vedono in un altro modo.
Xenofobia, in ultima analisi, con l'aggravante - non da poco - della pretesa di assolutismo.
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