venerdì 6 novembre 2009

L'Europa è libera, l'Italia no

Tutta l'Italia strepita per la sentenza della Corte Europea secondo la quale la presenza del crocifisso nella aule delle scuole pubbliche costituisce una discriminazione nei confronti dei non credenti e dei credenti di religioni diverse da quelle cristiane. Soprattutto l'Italia "politica", ovviamente: si fa a gara ad essere "più papisti del Papa" (il quale già di suo parecchio papista è). Dal massone Berlusconi al dubbioso Bersani, passando per il "celtico" Bossi (quello, tanto per dire, che anni fa tuonava contro i "vescovoni", e partecipa annualmente a cerimonie in onore del "dio Po" (nel senso del fiume)).

Tutti ne parlano, ma ben pochi tentano di farlo superando il preconcetto di mitiche radici cristiane dell'Europa (tutte da dimostrare: ma anche se fosse? Radici cristiane non significa necessariamente imporre un simbolo cristiano a chi cristiano non è... o sbaglio?) o l'entusiasmo di chi ragiona con la spada crociata piuttosto che ragionando sul merito delle cose.

Notevoli eccezioni, pur da punti di vista diversi, sono - direi al solito - Corrado Auguas e Marco Travaglio: il primo spiega perché la sentenza della Corte, oltre ad essere in linea con quanto ci si poteva aspettare, rappresenta una garanzia per tutti ed un segno di rispetto nei confronti di un simbolo religioso che la politica servile (e con essa le alte sfere religiose...) presenta alla stregua di una nota folkloristica, pur di trovare un appiglio per imporne la presenza; il secondo, con il consueto cipiglio, sottolinea le contraddizioni di molti di quelli che Scalfari definirebbe "atei devoti", per poi notare come, entrando nel merito, sarebbe sufficiente considerare il crocifisso come simbolo di uguaglianza e di gratuità dei comportamenti, per sottolinearne il potenziale valore universale e salvarlo dalle contese da osteria (o da parrocchia).

Personalmente mi sento più vicino alla posizione di Augias, soprattutto quando conclude: L'Europa ci guarda e, con il voto unanime dei suoi giudici, ci aiuta.

Segnalo infine un terzo articolo sull'argomento, scritto su "La Stampa" da Michele Ainis. Articolo che si conclude con un'osservazione (Se una religione è forte, se ha fede nella sua capacità di suscitare fede, non ha bisogno di speciali protezioni) che condivido in pieno (ne ho già scritto in passato) e che, per come la vedo io, rappresenta in qualche modo la constatazione che un certo modo di fare religione sia frutto, principalmente, della consapevolezza del proprio incessante ed inesorabile arretramento nella società: constatazione che rappresenta, per il futuro, una promessa ed un speranza.

2 commenti:

  1. E, a proposito del fatto che il crocifisso venga per proprio interesse ridotto alla stregua di un elemento della tradizione, ecco qui un post con il quale sono assolutamente d'accordo...

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  2. Personalmente non condivido un accidente di quanto scrive Travaglio in quel post, anzi, credo evidenzi ancora una volta come riduca qualsiasi argomentazione a facile antipolitica.
    Quanto al crocifisso, mi sembra lampante la contraddizione data dalla sua presenza. Io toglierei pure il muro, così, per essere più sicuro.

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